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"Storia del mio bisnonno Santi Viviani": la recensione

Il primo libro della nostra collezione di scritti elettronici, il lancio della scrittura locale. Un libro che parla della storia di un uomo che, in maniera quasi ispirata e romantica, trova spazio tra le righe della bisnipote, Giulia Paperini. Una storia di sentimenti, deportazione e guerra in quella che era l'Italia della Seconda guerra mondiale.


Il libro inizia con una piccola introduzione di Giulia Paperini, in cui lascia spazio alle parole proponendosi come incastro e preludio per le pagine successive, non senza mantenere una scrittura fattualmente oggettiva ma, al tempo stesso sottoposta alla consapevolezza dell'autrice.


Comincia poi la parte preponderante del libro: le pagine scritte di Santi Viviani. Dapprima tenuto in fermo a Firenze in una caserma, insieme ad altre centinaia di soldati, in mezzo alla confusione del momento in cui l'Italia firma l'armistizio ma anche alla contraddizione degli ordini e delle sensazioni. Le opportunità di fuga si presentano e muoiono continuamente, sollecitando il desiderio di evasione del soldato ed anche le sue paure per quello che potrebbe, come non, costituire l'imminente futuro. Non è facile uscire dalla caserma, se non con stratagemmi congetturati ed immediatamente nulli se effettuati una seconda volta, bisogna reinventarsi di volta in volta, cercando di evitare le mitragliate delle guardie tedesche poste agli angoli della caserma, prima che addirittura i loro occhi: sparano al solo sospetto. Anche per gli innocenti.


La scelta sostanziale tra l'essere dei disertori morali liberi o degli eroi, coerentemente immemori condannati a morte è uno dei passi più difficili dello scritto, in cui la coscienza di ognuno richiama alla morale, non sapendo cosa anteporre, nel momento di più completa incertezza: unirsi alle milizie sembra un buon compromesso tra l'indossare la divisa tedesca ed il rimanere prigioniero. Lo è veramente? Un compromesso non risolve la guerra. Non rende liberi, perlomeno non idealmente. Questo Santi Viviani lo sa, e sceglie ciò che si legge nel libro.


Da questo momento in poi Santi Viviani subirà l'inevitabile trasformazione comandata dall'orrore della guerra: umano, numero; persona, bestia; lavoro, merce. Italiano, nulla.

I passi del viaggio e dell'arrivo al campo di Moosburg sono i più tristi e quelli che effettivamente di più stimolano il pensiero del lettore, eccone qui alcuni:

«Ero l’8744. Da quel giorno il nostro nome fu spento; quel nome avuto nel Santo battesimo, scelto dai nostri genitori forse avanti la nostra nascita; la cosa più sublime, più sacra, più propria. Il nome non si estingue con la morte, ma resta immortale come l’anima, Eppure ci fu tolto per sostituirlo con un numero, un numero qualunque fattoci capitare dal destino. Con quel numero ci chiamavano al lavoro, all'appello, alla visita medica e perfino alle punizioni che ci venivano inflitte».

Uno degli aspetti che più mi ha affascinato di questo breve scritto è l'ultima sezione: dato il ritmo frenetico della lettura negli ultimi passi del libro, sgomenta leggere un passaggio dalla prima alla terza persona. Le prime parole sono: «Si ammalò di broncopolmonite, aveva ancora pochi giorni di vita e difatti il 5 novembre 1944 verso le ore cinque fece il suo ultimo respiro».

In queste poche righe che coronano il tributo della nipote nei confronti del bisnonno, vuole comunicare al lettore un rammanico ed un silenzio in mezzo a quello che era il ritmo della lettura. Santi Viviani è morto. L'ultimo capitolo della sua vita lo ha scritto la sua bisnipote. Un fatto estremamente profondo e, simmetricamente alla storia, romantico.



F.B.


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LA VOCE CORTONESE

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Crediti per la musica del podcast:

The Travelling Symphony by Savfk | https://www.youtube.com/savfkmusic
Music promoted by https://www.free-stock-music.com
Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

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