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Aristotele e la creatività: piccole annotazioni

Condivido qui alcune riflessioni fatte sul collegamento tra Aristotele ed il concetto di creatività, in seguito ad una lezione di filosofia tenutasi al liceo classico in data 21/09/2021.


Introduzione

Secondo l’Enciclopedia Treccani, la creatività corrisponde al “processo intellettuale divergente rispetto al normale processo logico astratto[1]. Sebbene lo studio di questo atteggiamento mentale inizi a partire dai primi del Novecento, e addirittura l’ingresso nel vocabolario comune si attesti agli anni Cinquanta, nella sua accezione moderna, non si può dire lo stesso della sua concezione generale, la quale esiste dal IV secolo a.C., e che trova il primo timido tentativo di definizione in Aristotele, che però non si associa nemmeno direttamente al termine stesso di creatività, ma a quello di melanconia.

Sebbene siano due studi distanti due millenni l’uno dall’altro, si possono ricollegare le considerazioni che Aristotele ha fatto sulla creatività e sulla melanconia con gli studi scientifici effettuati a metà del XIX secolo, in particolare con quelli del celebre psichiatra Eugene Bleuler e del filosofo Ralph Waldo Emerson.


Genesi del quesito

Prima di introdurre le argomentazioni, è necessario presentare il quesito e spiegare ciò che ha portato ad esso. Il quesito fondamentale è: «che cos’è la creatività nella filosofia aristotelica e dove si colloca?». Questo perché Aristotele, nelle sue opere riguardanti la psicologia, ad un certo punto parla anche di immaginazione, però come una facoltà, propria dell’uomo poiché in relazione alla funzione intellettiva, intermedia tra la sensibilità diretta e l’intelletto, cioè «capace di produrre, evocare o combinare immagini in modo autonomo rispetto agli oggetti percepiti». Ciò non rappresenta però un qualcosa di creativo, ma l’autonomia a cui fa riferimento Aristotele, molto probabilmente, si riferisce al fatto che l’intelletto (o comunque questo stato intermedio della φαντασια) è capace di creare e combinare le immagini in maniera autonoma dalla sensibilità, senza che ci sia una diretta percezione di ciò che deve essere ricreato dall’immaginazione. Non è quindi un processo produttivo in senso proprio. Aristotele, inoltre, sostiene che il concetto non può nascere se non prende parte l’intelletto, prima passivo e poi attivo, prendendo i dati per il passaggio da potenza a verità dalla sensibilità e dall’immaginazione. In questo processo però non è presente alcun accenno alla possibilità di creazione, e sembra che l’intelletto possa basarsi solamente su dei dati e che non ne possano essere creati degli altri.

L’unico riferimento[2] che si può trovare a qualcosa di più lontano dalla concezione di immaginazione legato alla φαντασια, e più vicino al senso moderno, e quindi di creatività per come la intendiamo oggi, è contenuto nella concezione dell’arte: Aristotele sostiene infatti che una cosa, come per un essere umano, è bella solo quando realizza pienamente il suo scopo, che coincide con la propria forma, e questo senso, o scopo, o forma, è imposto dall’uomo sulla cosa materiale, sulla sua creazione[3], ma segue comunque gli schemi dell’immaginazione che sono stati elencati prima, e quindi rappresenta una finta interpretazione.


La blasfemia della creatività

Un altro aspetto che va sottolineato è la repulsione del mondo antico verso il concetto di creatività, come pura invenzione, poiché per creatività, a partire dagli stessi Greci, non s’intendeva l’atto umano di creare sulla base della propria immaginazione e della propria possibilità di fornire soluzioni alternative, ma possedeva un concetto molto più profondo, legato alla divinità. Come sostiene Massimo De Carolis, personaggi come Catullo, Dante o Leonardo non avrebbero mai potuto descriversi come creativi, perché la facoltà di creare spettava solamente a chi, dotato di poteri divini, poteva dettare nuovi schemi[4], e quindi attività come la poesia e l’arte venivano intese come innovative, ma non creative[5], ed infatti solo a partire dall’epoca moderna e contemporanea si è assistito alla morte degli schemi (basti vedere, nell’arte la nascita dei movimenti artistici francesi non accademici, nella musica europea l’epoca della classicità viennese ed il dissacramento del valzer nel XX secolo, e nella musica americana la nascita del jazz), dopo un’era di schemi (le accademie nell’arte, ed i vari periodi dal barocco al classico) che erano presi in considerazione come tali anche dai greci: infatti l’epica è sì innovazione, ma consiste sostanzialmente nella produzione di versi che siano memorabili, che rispettino la metrica e le specifiche stilistiche del tempo in cui vengono prodotti.


Un filo rosso lungo duemila anni

Nell’introduzione ho scritto che è possibile collegare i ragionamenti di Aristotele ai moderni studi sulla creatività. Qui è necessario introdurre un punto di svolta nel ragionamento aristotelico, contenuto però nell’opera dei Problemi (i Προβληματα), in cui alcuni testi sono sicuramente aristotelici, mentre altri sono di dubbia provenienza, dove però è contenuto il seguente problema:

«Perché gli uomini che si sono distinti nella filosofia, nella politica, nella poesia, nelle diverse arti sono tutti dei melanconici e alcuni fino al punto di ammalarsi delle malattie dovute alla bile nera?».
XXX, 953a (Trad. di Marco Mazzeo).

Che cos’è la melanconia? Ci viene in soccorso l’Enciclopedia Treccani, che definisce la melanconia con le seguenti parole: «stato psichico caratterizzato da un’alterazione patologica del tono dell’umore, con un’immotivata tristezza, talora accompagnata da ansia, e con inibizione di tutta la vita intellettuale»[6]. Per Aristotele e per quasi tutti i greci però, come sostiene Marco Mazzeo[7], è l’unico terreno fertile dove si possono sviluppare gli atti memorandi di cui parla la poesia, e quindi oltremodo creativi, ed Aristotele spiega questo concetto nei Problemi, indicando come melanconici, personaggi come Eracle, Eta, Lisandro, Aiace, Empedocle e persino i suoi maestri Platone e Socrate, oltreché la stragrande maggioranza dei poeti. Si può quindi provare ad affermare che Aristotele accosti la non-citata creatività con quella, che sostanzialmente è l’alter ego della mania, cioè la melanconia[8].

Aristotele porta in rassegna tutti gli effetti della melanconia prendendo a riferimento Ippocrate e continua, nel frammento 953a, con la proposta di eventuali cure che possano contrapporsi alla bile nera[9], proseguendo poi con una rapida esposizione delle tesi a favore dell’utilità del vino e della sua importanza, finendo poi il frammento attuale ed iniziando quello successivo con una digressione sul sesso, al punto della quale ho perso l’interesse per il testo[10].

Ci sono però dei punti a favore del filosofo stagirita che risalgono alla seconda metà del XIX secolo, ad opera dello psichiatra svizzero Eugene Bleuler, che altro non è che lo scopritore della schizofrenia. Sebbene i suoi studi si concentrassero sulla demenza precoce (da cui trasse che i principi fondamentali di questo stato erano quattro: allentamento delle associazioni mentali, anaffettività, ambivalenza, autismo), stabilì che in quella che avrebbe poi chiamato schizofrenia, un punto fondamentale era la «creazione di collegamenti improbabili», con una effettiva risposta statistica nei rapporti sugli studi psicometrici sugli individui creativi. Giunse alla conclusione del fatto che quindi, un individuo schizofrenico, che per ipotesi ideale, non avesse nella propria patologia compresi gli aspetti di depressione ed angoscia, null’altro sarebbe che la definizione di individuo creativo. Questo coincide con la definizione di melanconia sopra citata, e stabilisce un collegamento diretto con la creatività.


Conclusioni da due epoche

Con un po’ di coraggio si potrebbe quindi affermare che Aristotele ci aveva visto lungo: la creatività non sarebbe altro che la nuova associazione di concetti[11].

Lo stesso sostiene anche il già citato filosofo Ralph Waldo Emerson[12] quando afferma che la poesia greca è basata sull’innovazione e che consiste nel trovare nuovi metodi per narrare le gesta memorabili degli eroi: sebbene confidi con energia nell’intelletto umano, come sosterrà poi nel resto della sua produzione letteraria, la creatività dell’uomo non consiste che in questo, e solo con il collegamento diretto a quella che è una discendente diretta della mania, si possono raggiungere dei livelli nuovi di immaginazione e quindi tentare di avvicinarsi alla creatività.

Di per sé però, la pura creatività appartiene al divino, mentre all’uomo appartiene l’intelletto necessario (così come la mania e la melanconia necessarie) per trovare sempre dei nuovi collegamenti tra i concetti, delle nuove associazioni, basandosi sulle proprie competenze, e questo sintomo della genialità verrà ripreso anche più avanti nella storia, non solo nella lontana epoca moderna, ma anche nel più vicino Rinascimento[13].


[1]Creatività. https://www.treccani.it/enciclopedia/creativita. [2]Con-Filosofare. Dalle origini ad Aristotele di Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero; Pearson, 2016; pag. 432, L’estetica e la poetica, al paragrafo “La concezione della bellezza”, al comma “La bellezza come finalità”. [3] Per quanto riguarda la natura, Aristotele sostiene che la finalità sia ad essa intrinseca. [4] Forse nemmeno l’uomo Aristotele, o il filosofo greco qualsiasi, si sarebbe descritto come creativo, poiché solo il divino può creare nuovi concetti, cioè nuove idee che fungano da modelli agli intelletti per essere realizzate. [5]La vita nell'epoca della sua riproducibilità tecnica di Massimo De Carolis, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pag. 225. [6]Melanconia: https://www.treccani.it/enciclopedia/melanconia. [7]Melanconia e rivoluzione. Antropologia di una passione perduta di Marco Mazzeo, Ariccia (RM), Editori Internazionali Riuniti, 2012, p. 87, da cui è tratta anche la citazione dei Problemi di Aristotele. [8] Sebbene sembrino contrari, non lo sono. Melanconia e mania. Studi fenomenologici di Ludwig Binswanger, Torino, Bollati Boringhieri, 1977. [9] Da cui proviene lo stesso nome della melanconia. [10]Aristotele. Problema XXX: Saggezza, Intelletto e Sapienza di Aristotele. Alla fonte: https://www.lettere.uniroma1.it/sites/default/files/2238/Aristotele_Problema_XXX.pdf. [11] Fonte aggiuntiva: https://arsetinventio.com/news/2015/10/pensiero-creativo-metodo. [12]Essere poeta, a cura di Beniamino Soressi, Moretti & Vitali, 2007. [13] L’umanista Marsilio Ficino riprenderà questa tematica, stabilendo dogmaticamente che la melanconia e la genialità sono in solido collegamento tra di loro (dimenticandoci di tutte le supposizioni sull’indossare bracciali d’oro per scacciare le cattive influenze dei pianeti e curare la melanconia). Storia del mal di vivere: dalla malinconia alla depressione di George Minois, pp. 72-74, Dedalo, 2005.


Di Flavio Barbaro.

 

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LA VOCE CORTONESE

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Crediti per la musica del podcast:

The Travelling Symphony by Savfk | https://www.youtube.com/savfkmusic
Music promoted by https://www.free-stock-music.com
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https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

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