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La Parola della settimana: "avarizia"

Dal Paperon De Paperoni di Don Rosa e Carl Barks, a San Matteo e Michelangelo Buonarroti, come questa parola ci tocca e caratterizza tutti, negli aspetti più comuni, dal denaro ovviamente, fino al fumetto.

 

La parola della settimana:

Avarizia


La parola avarizia, dal latino avaritia , derivato di "avarus" ovvero "avaro", è un atteggiamento restio nello spendere e nel donare, per uno squallido attaccamento al denaro e a ciò che si possiede.

Secondo la Chiesa Cattolica l'avarizia è elencata tra i sette vizi capitali, seguita e spesso associata all'invidia.

I Buddhisti ritengono che l'avarizia sia basata su un'erronea associazione tra il benessere materiale e la felicità. Pensano infatti che essa sia provocata da una visione illusoria che esagera gli aspetti positivi di un oggetto e porta quindi l'avaro a desiderarne sempre di più, alimentando la tendenza ad accumulare grandi quantità di quel determinato oggetto.

Spesso è associata all'idea di denaro, infatti ricordiamo molti personaggi della letteratura di ogni tempo che sono stati associati al concetto di avarizia, come per esempio Mazzarò, protagonista della novella di Giovanni Verga "la roba" , o più vicino a noi il famosissimo Zio Paperone, accumulatore e geloso custode delle sue ricchezze, apparso per la prima volta nel noto fumetto il 15 dicembre 1947,  o ancora Ezebener Scrooge, in "Canto di Natale" di Charles Dickens.

 

Paperon De’ Paperoni: una storia che non tutti sanno

Pezzo della rubrica “La Parola della Settimana”

a cura di Flavio Barbaro

Un’opera infinita, nelle intenzioni dell’autore e nelle speranze dei lettori” è l’incipit del libro Paperdinastia, che costituisce un vero e proprio capolavoro nel panorama Disney, per la comprensione della storia di una delle famiglie più importanti dei fumetti internazionali. Questo è un libro che mette chiarezza sulla storia che Carl Barks aveva iniziato a tracciare, tutto sotto l’attenta ricostruzione, creazione e organizzazione dell’autore della Saga, il celebre Don Rosa.

L’introduzione recita così: “La cosiddetta Saga di Paperon de’ Paperoni è un’opera di largo respiro che narra i primi ottant’anni di vita del papero più ricco del mondo, dalla nascita, datata Glasgow 1867, fino alla prima apparizione nel mondo del fumetto, avvenuta a Natale del 1947 nella storia Paperino e il Natale sul Monte Orso, scritta e disegnata dal grande Carl Barks”.

Il libro si articola in dodici capitoli, tutti frutto di un’attenta opera quasi archeologica da parte di Don Rosa, nei confronti delle numerosissime storie che Carl Barks, il padre-autore di Paperon de’ Paperoni, le quali potevano risultare, a volte, piene di contraddizioni e con mancanza di eventi storici; Don Rosa ha inserito un contesto storico attorno alla figura di Zio Paperone, rendendo il tutto molto più credibile, e facendone un personaggio storico vero e proprio, con tanto di caratterizzazione.



Un inizio in miseria

Paperon De’ Paperoni nasce nel 1867, a Glasgow, in Scozia (la data precisa non è indicata) ed è l’ultimo discendente di un clan una volta nobile, quello dei Paperoni. Le prime tavole mostrano il padre di Paperone, Fergus de’ Paperoni, intento a mostrare al figlio una landa desolata, dove sorge un castello, una volta reggia della loro famiglia, tutto questo quando Paperone ha solo dieci anni. Il castello è lontano da Glasgow, ma Fergus racconta come nel 1753, dopo che il clan si era trasferito a Glasgow, fossero diventati degli armatori; racconta anche come un loro antico antenato, Quackmore de’ Paperoni ricevette uno scrigno pieno d’oro per aver difeso il re MacBeth durante la guerra civile del 1057, ma anche che durante un’incursione della fazione nemica, si fece murare assieme allo scrigno all’interno delle mura. Purtroppo il racconto viene interrotto da alcuni della famiglia dei Whiskervilles, dei pastori che portano le proprie pecore a pascolare in quel terreno ormai non più così glorioso. Tornati a casa desolati e atterriti, con un giovane Paperone arrabbiato contro il padre per non aver risposto agli attacchi degli insolenti Whiskervilles, ed uno zio, Jake de’ Paperoni (da cui si capisce aver ripreso il carattere suscettibile ed iracondo), agguerrito quanto lui, Fergus prepara un piccolo kit da lustrascarpe al figlio, di modo che magari, un giorno, possa diventare qualcuno e ridare lustro al clan dei Paperoni. Iconica è la battuta dello zio Jake, che afferma, nell’ultima tavola della scena: «Già! Con un’attrezzatura del genere diventerà milionario!». E, nonostante il sarcasmo, non avrà tutti i soldi, sbaglierà solo di qualche zero.


Dieci centesimi americani

La tavola di cui sto per scrivere è la più importante, e quella che quasi sempre troverete nelle biografie del grande milionario: la scena della prima moneta.

Una volta ottenuto il kit da lustrascarpe, Paperone andrà in giro per Glasgow, cercando di ottenere la prima lucidata da fare, sotto lo sguardo speranzoso ed incoraggiante del padre e delle due sorelle Matilde ed Ortensia. Paperone troverà un operaio, Burt, amico di Fergus, che si farà lucidare le scarpe, ma invece che cinque pence, come da accordo, Burt gli darà dieci centesimi americani (come concordato prima con Fergus), e lì Paperone capirà che il mondo è pieno di imbroglioni (credendosi vittima di un inganno casuale e fortuito) e si rimboccherà le maniche per continuare a lavorare sodo e diventare qualcuno. Le scene successive mostrano un giovane Paperone dedito a rinnovare i propri mezzi per poter avere sempre più pubblico (come una macchina pulisci-scarpe che può ospitare fino a tre persone contemporaneamente) ed allargare il proprio business (vendendo anche la torba ai ricchi). Un giorno però fa uno strano incontro, proprio mentre si trovava a fuggire nella landa desolata dell’inizio, incontra il fantasma di Quaquarone de’ Paperoni, antico antenato della famiglia, che gli illustra (dandogli anche riparo dai malviventi, che non osano entrare dentro il castello) le antiche imprese della famiglia, oltreché altri personaggi illustri, come il Conte Braccio di Ferro (il quale cadde in rovina durante l’assedio sassone del 946, poiché pagava troppo poco le truppe), il Duca Bambaluc, il quale sigillò le segrete del castello nel 1220 quanto gestirle a dovere diventò troppo costoso (tutti riferimenti all’avarizia, di cui si parla anche in questo articolo, che Paperone erediterà naturalmente). Il fantasma gli suggerisce di andare in America, da suo zio, per magari trovare fortuna, lavorando come assistente nella barca che gestisce. L’ultima tavola rappresenta la partenza del giovane Paperone tra le lacrime della famiglia e quelle del padre, insieme alle tante speranze.


Ciao America, bentornata Scozia

Questo è il titolo del secondo capitolo. Per farla breve, da qui in poi la strada di Paperone sarà tutta in salita: prima le disavventure con lo Zio Manibuche, proprietario di un piccolo battello nel Kentucky; poi l’approdo (incidentale, perché ci arriverà cadendo da un treno dopo un combattimento contro dei banditi) in Texas, nella banda di Murdo MacKenzie, un pastore americano di origini scozzesi, come Paperone; l’incontro con Theodore Roosevelt, di cui diventerà un amico stretto; l’incontro, la collaborazione e l’amicizia con Howard Rockerduck, il padre di quel John Davison Rockerduck che diventerà poi acerrimo nemico di Paperone.


Successivamente tornerà in Scozia, dove per una disputa, si troverà a dover difendere il proprio nome e quello della propria famiglia, davanti al padre invecchiato, in un duello con la famiglia dei Whiskervilles. In questo duello interferisce il fantasma di Quaquarone, il quel lo fa vincere, ma cadere nel torrente sotto il castello, con ancora indosso l’armatura. Per qualche minuto affoga e si ritrova nell’Aldilà, con tutti i membri illustri del clan dei Paperoni, i quali stanno simpaticamente giovando a golf nel momento del disturbo. Consultando il futuro del papero, ed appurato che non si trova lì per un errore suo, ma di Quaquarone, non trovano una valida motivazione per rimandarlo giù (pur avendo letto cose del tipo: “Paperopoli”, “Un edificio contenete tre ettari cubici di denaro”, “Nipote irascibile”, “Costantemente minacciato da una banda di ciccioni mascherati di nome 176-167…”, “Il papero più avventuroso del mondo”) finché non leggono che sarà il “papero più spilorcio, miserabile, strizzarape, avaro tirschioso della terra”. A quel punto tutti si girano e gridano urla di gioia, e gli danno un’altra possibilità per tornare in terra. Girerà poi il mondo e l’America, trovando la sua prima pepita d’oro nel Klondike; e l’amore della sua vita (sì, Paperone ha una fidanzata, non ne è stato mai registrato il matrimonio, né tantomeno la discendenza di eventuali figli) Doretta Doremi. Tornato a casa per comunicare la propria fortuna, progetta di raggiungere una città, Paperopoli, in America e di mettere lì il suo deposito di denaro. Il padre però non verrà con lui, dicendo di essere troppo vecchio.


«Sii onesto con te stesso»

Questa è una delle scene più commoventi di tutta l’opera. Tornato a casa, il padre comunicherà a Paperone l’intenzione di non venire con lui in America, come invece hanno deciso di fare le due sorelle, lo stesso vale per la madre, poiché sono troppo anziani per muoversi dalla Scozia. La sera prima della partenza la famiglia festeggiò per tutta la notte, quando all’alba salutano la finestra dove si trovano Fergus e la moglie Piumina O’Drake, vedono anche una terza mano; suppongono sia quella dell’assistente del castello, un certo Piva, che aiuta Fergus nelle mansioni quotidiane, ma lui si trova al piano terra a spazzare le foglie. Loro non lo sapranno mai, ma quella è la mano del Duca Quaquarone, che si trova lì con i loro genitori. Perché?

Semplice. Sono passati a miglior vita. Questa è una delle rappresentazioni più dolci della morte, soprattutto di due genitori, mentre salutano i figli, e chiedono poi al Duca di fargli strada verso gli altri membri della famiglia. Attraversano il muro, come dei fantasmi, come aveva fatto il Duca quella sera, aiutando il piccolo Paperone. Non viene mai citata la parola morte.

Il padre, prima di morire e di lasciare il figlio andare verso l’America, e verso una vita migliore, dirà queste parole al figlio: “Niente ma, ragazzo mio! Sii onesto con te stesso e sappi che tuo padre sarà sempre orgoglioso di te!”.

Giunto in America, raggiunta Paperopoli, incontra la famiglia dei Paperi, che daranno la discendenza a Quackmore Duck, il futuro padre di Paperino, che si sposerà con Ortensia, la sorella di Paperone.


La fine

Non scriverò molto sul resto del libro, perché sono tutte vicissitudini che meritano di essere lette, ed approfondimenti sulla sua vita che dovete assolutamente recuperare, se anche voi siete affezionati al personaggio e alla storia di fumetti più bella del mondo. Scrivo soltanto che ad un certo punto, Paperone, oltreché a ritrovarsi sul Titanic, dovrà fare i conti con la propria ricchezza, e decidere cosa mettere davanti a sé: la famiglia, o il denaro. Questo è uno dei dilemmi più difficili che possano esistere nelle letterature, e mi sono infatti stupito di averlo trovato all’interno di questo libro, che dovrebbe essere destinato ad un pubblico perlopiù ragazzino. È tutto il contrario, è qualcosa di straordinario, ed è un’opera che rapisce il cuore di tutti gli appassionati alla famiglia dei paperi, soprattutto se non si conoscono tutti i retroscena che ci sono nel vasto mondo Disney, che non sono pochi, e che sono tutti appassionanti.

Una piccola curiosità, ahimé triste. In un concorso, in cui in una rivista tedesca si doveva illustrare la battuta “Ehi Paperina! Cos’è successo a Paperone?”, partecipò anche Don Rosa, il quale ebbe un’idea molto profonda, affascinante, quanto triste: la morte di Paperone. Si attesta nel 1967 (lo stesso anno in cui Barks smise di produrre fumetti come autore completo), anche se non si tratta di una tavola ufficiale, ma solamente di un gioco, anche se Don Rosa ha sempre sostenuto di non avere una visione statica dei personaggi Disney, ma al contrario, di preferire il fatto che loro abbiano una vera e propria vita, e quindi, anche una morte.

Concludo questo piccolo articolo, consigliandovi la lettura del libro-fumetto che ho preso in esame, e che ho amato durante i miei primi anni di scuole medie. Risale al giugno del 2000, e c’è ancora il costo in lire, L16.900. Si chiama Paperdinastia. Spero vi piaccia tanto quanto è piaciuto a me.

Vi consiglio infine, un articolo uscito da poco sul blog di Ventenni Paperoni, che riguarda una ricerca sulla madre di Qui, Quo e Qua (che nella Paperdinastia compare a pagina 212, quando Matilda ed Ortensia presentano i figli di quest’ultima: Della e Paperino), Della, di cui non si hanno tracce per molto tempo. Alla fine, si scoprirà che anche il clan (lo chiamo così impropriamente) dei Paperi, è destinato ad una grande fortuna. Non aggiungo altro, buona lettura.

 

La musica e Paperon de Paperoni

Davvero pochi cantautori hanno trattato, fino ad ora, il tema dell'avarizia. L'unico esempio piuttosto noto è il brano Avarizia di Enrico Ruggeri, pubblicato nel 2000 nell'album L'uomo che vola.

Ma l'esempio più curioso di brano che tratta questo argomento è forse (rimanendo in tema) Paperon' de Paperoni del cantautore jazz Bruno Martino, con testo e musica scritti dal direttore d'orchestra e compositore Pippo Caruso, nel 1962. Il brano è una perfetta e ironica descrizione dello stile di vita esageratamente avaro di Paperon de' Paperoni, ma può essere visto, più genericamente, come un'ottima presentazione di ciò che effettivamente è l'avarizia e di chi ne è schiavo.

Pubblicato nel 1962 all'interno del 33 giri Orchestra Bruno Martino, il brano non ha mai trovato un grande successo, nonostante questo genere di brano (una samba, con una forte influenza della bossa nova brasiliana) fosse molto apprezzato all'epoca.

 

La vocazione di San Matteo, Michelangelo Buonarroti (1599-1600)

Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».


Matteo 9,9-13.


La Vocazione di San Matteo è un dipinto di Michelangelo Merisi realizzato tra il 1599 ed il 1600 ,per la Cappella Contarelli, su commissione del cardinale francese Mathieu Contrel.

Il committente aveva descritto dettagliatamente cosa voleva: “San Matteo dentro un salone ad uso di gabella con diverse robe che convengono a tal officio con un banco come usano i gabellieri con libri, et denari. Da quel banco san Matteo, vestito secondo che parerà convenirsi a quell’arte, si levi con desiderio a venire a Nostro Signore che passando lungo la strada con i suoi discepoli lo chiama”.

Il quadro narra il momento in cui Cristo indica Matteo, seduto al suo banco di esattore delle imposte e lo chiama all’apostolato. A destra è raffigurato il Salvatore che, con il braccio teso, indica Matteo e San Pietro. Quest’ultimo è visto come la personificazione della Chiesa cattolica mediatrice tra Dio e l’uomo. La chiamata si svolge in un ambiente reale e nella umile esperienza quotidiana.

La tela, inoltre, è densa di significati allegorici. In primo luogo proprio la luce, grande protagonista della raffigurazione pittorica, assurge a simbolo della Grazia divina (non a caso non proviene dalla finestra dipinta in alto a destra che, anzi, resta del tutto priva di luminosità, ma alle spalle del Cristo), Grazia che investe tutti gli uomini pur lasciandoli liberi di aderire o meno al Mistero della Rivelazione; non bisogna dimenticare, poi, che la chiesa di S. Luigi rappresentava la nazione francese, e l'allora Re di Francia, Enrico IV, s'era appena convertito al Cattolicesimo, scegliendo così la Salvezza.


E così, solo alcuni dei personaggi investiti dalla luce (i destinatari della "vocazione" insieme a Matteo il Pubblicano) volgono lo sguardo verso Gesù, mentre gli altri preferiscono restare a capo chino, distratti dalle proprie solite occupazioni. Forse non è casuale che uno dei compagni di Matteo porti gli occhiali, quasi che fosse accecato dal denaro. La luce inoltre ha la funzione di dare direzione di lettura alla scena, che va da destra a sinistra e torna indietro quando incontra l'umanissima espressione sbigottita ed il gesto di San Matteo che punta il dito contro se stesso al fine di ricevere una conferma, come se chiedesse a Cristo e a San Pietro: "State chiamando proprio me?".


Da Art e Dossier di Philippe Daverio.

 

A cura di: Filippo Trenna, Edoardo Bettacchioli, Francesca Borrini e Flavio Barbaro.




3 comentários


riccardo.trenna.s24
riccardo.trenna.s24
11 de abr. de 2022

MOLTO BELLO MI HA COMMOSSO

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riccardo.trenna.s24
riccardo.trenna.s24
16 de mar. de 2022

molto bello ragazzi molto bello bravi ragazzi complimenti.

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luci.mencarelli
02 de nov. de 2021

Ancora bravissimi! Ho letto tutto con molta curiosita’!!!

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Crediti per la musica del podcast:

The Travelling Symphony by Savfk | https://www.youtube.com/savfkmusic
Music promoted by https://www.free-stock-music.com
Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

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