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Vita di un alberello

Aggiornamento: 16 nov 2019

Era un lunedì mattina. Io ero un piccolo arbusto di pochi centimetri ed ero molto fragile.


Quando ho piantato le mie radici, ho visto delle mani piccole che accarezzavano la terra intorno a me: tanti bambini che ridevano e si divertivano, si battevano il cinque e versavano un po’ d’acqua per dissetarmi.


Mi trovavo in un giardino vicino ad una scuola ed era un bel giardino, con addirittura due porte da calcio ed un’altalena. Mi innaffiavano molto spesso ed i bambini erano sempre gentilissimi con me, tranne qualche volta che un pallone mi colpiva, ma erano così felici che non li si poteva rimproverare.


C’era un bambino, Paolo, che non amava giocare a calcio (me lo disse lui stesso) e che trascorreva con me un sacco di tempo. Parlava con me anche se io non ero capace di rispondere, ma mi teneva compagnia anche in mezzo a quel giardino, magari con qualche insetto che voleva arrampicarsi sulle mie foglioline. Paolo era un ragazzo molto timido e mi rivelò anche del suo amore per Chiara, una bambina che mi innaffiava molto spesso; un giorno di primavera vennero ad innaffiarmi insieme e quando Chiara aprì la pompa dell’acqua e Paolo iniziò ad annaffiarmi, io feci cadere un fiorellino dai miei rami. Paolo lo raccolse ed immediatamente lo regalò a Chiara, che ne rimase molto felice.


Passò il tempo e Paolo e Chiara lasciarono la scuola e nuovi bambini presero il loro posto. I nuovi bambini non mi conoscevano ed io tentai di fare amicizia, ma non mi notarono, anzi: ricevevo più palloni di prima e per un po’ di tempo si scordarono anche dell’acqua. Tutto ciò aumentava di ciclo scolastico in ciclo scolastico, finché un giorno non vidi Paolo. Era cresciuto, non era più un bambino. Il suo viso paffuto adesso era adolescente ed ornato con un simpatico paio d’occhiali. Dopo aver discusso con i suoi vecchi maestri di come si trovasse nella nuova scuola per ragazzi non più bambini, gettò qualche occhiata su di me. Non riuscii a fare a meno di salutarlo e feci cadere un fiorellino: lui si avvicinò subito e senza farsi vedere accese la pompa dell’acqua ed iniziò ad innaffiarmi, come quei bambini si erano scordati di fare da molto tempo.


Le mie radici erano ormai fisse, i miei rami crescevano ed io ero sempre più robusto, sempre meno arbusto e sempre più albero. In quel giardino iniziai ad essere un punto di riferimento per i più piccoli: i loro grembiuli giacevano spesso sopra i miei rami, non esitavano ad arrampicarsi e qualche volta mi facevano anche un bel giro tondo. Paolo veniva spesso a trovarmi, ma lui era ormai molto più grande dei bambini che mi facevano le feste, ma nonostante ciò, quando la scuola finiva ed i bambini erano tornati a casa, mi parlava della sua nuova vita, dello studio sempre più difficile, della scelta dell’indirizzo scolastico e del suo perenne amore per Chiara, che però stava nell’altra sezione. Io gli regalai un altro fiorellino, suggerendogli di agire come tanti anni prima.


Trascorse ancora un po’ di tempo e qualche alluvione tentò di scalfire il mio tronco che ormai abbandonava la fragilità e l’insicurezza dell’arbusto. I bambini non mi innaffiavano più e la scuola aveva assunto un giardiniere, ma continuavano a volermi bene come quando finsero di essere tanti guerrieri inferociti alla conquista dell’albero. Mi volevano bene. Paolo veniva spesso a raccontarmi delle scuole superiori e dei nuovi impegni, della musica che ascoltava, dei nuovi amici e del suo nuovo motorino. Chiara era ancora nei suoi pensieri, ma diceva di non avere più speranze e che tutti nella scuola erano più belli di lui. Non mi piacevano i suoi discorsi, si facevano sempre più pieni di odio, di amarezza e di rabbia verso non si sa chi e non si sa cosa, come se il mondo fosse contro di lui. Io non ce l’avevo con lui, ma quando feci cadere un fiorellino, tentando di dargli un’ultima speranza con Chiara, lui mi diede un calcio in preda al furore ed andò via.


Non lo rividi per molto tempo.


Trascorsero gli anni ed io diventai un albero sempre più grande. Comunicarono l’abbandono temporaneo della scuola per via di alcuni lavori di ristrutturazione che dovevano durare solo due mesi. Due mesi diventarono quattro e quattro diventarono otto. Otto mesi diventarono un anno e mezzo e dopo l’anno e mezzo di inattività decisero di chiudere la scuola, che ormai era stata trasferita istituzionalmente in un altro stabile, più in centro. Paolo non si vedeva da molto tempo.


Non è stato semplice, ma i miei rami sono cresciuti ed io continuo ad essere sempre più grande, tanto da ospitare anche una famiglia di rondini, che mi faceva compagnia nelle giornate ormai solitarie.


Passarono altri due anni. La scuola era a pezzi e tutto ciò che avevo visto nella mia vita era semplicemente scomparso: le porte da calcio erano state sequestrate e l’altalena aveva una corda rotta che la rendeva inutilizzabile. Non c’erano più grembiuli, palloni né tanto meno bambini che mi giocavano intorno.

Ma quella mattina c’erano solo operai ed impiegati dell’amministrazione con tabelle in mano che parlavano di costruzioni, di catrame, di calcestruzzo e di cemento armato. Avevo paura, la famiglia di rondini era emigrata su un altro albero più lontano dalla scuola in cui ero cresciuto. Probabilmente avevano paura anche loro, ma io non potevo scappare.


Passò una settimana ed in quella mattinata grigia entrarono i macchinari nella scuola per la costruzione di non so che cosa.. Buttarono giù l’altalena, levarono le viti rimanenti delle porte da calcio, le panchine vennero distrutte, i muri della scuola fatti a pezzi e l’intero plesso raso al suolo. I cespugli vennero tutti estirpati e gli vennero rotti i rami come fossero dei semplici pezzi di legno, gli altri alberi iniziarono a tagliarli uno ad uno e presto sarebbe giunto anche il mio turno. Cosa avevo fatto?


Avevo fatto qualcosa per meritarmi questo? Non ho mai voluto nulla, non ho mai rimproverato i bambini quando mi tiravano le pallonate o quando non versavano l’acqua. Non mi sono mai opposto alle scelte degli uomini, non ho mai dissentito dalle vostre decisioni, anche se sbagliate e nocive per l’ambiente ed inoltre non ho mai preteso che nel giardino venissero ripiantati gli alberi e non ho mai chiesto, in cambio dei miei fiori e dei miei frutti, alcunché, quando avrei potuto benissimo chiedere di non morire.


Cosa avevo fatto e cosa mi meritavo?


Tra quegli uomini notai anche il viso di Paolo, ormai aveva una barba folta, ma gli occhiali li teneva ancora. Si avvicinò aspettando l’inesorabile momento della mia caduta: mi disse che ormai aveva finito l’università da molto tempo e che aveva messo su famiglia. Ah! Alla fine si era sposato con Chiara ed aveva avuto con lei un figlio, Marco, piccolo ed identico al padre, con lo stesso viso paffuto. Mi rivelò che la scuola andava rasa al suolo per la costruzione di un nuovo stabile, molto più grande, molto più tecnologico ed accogliente.


Io lasciai cadere il mio ultimo fiorellino, il più bello che avessi mai lasciato cadere. Paolo si chinò e lo raccolse, ma con una mano si asciugava le lacrime che gli scendevano sul viso adulto.


Passarono pochi minuti da quella conversazione, che mi ritrovai tagliato in due, con il tronco aperto che rivelava la mia età, ma sul quale non erano riportate le emozioni dei momenti che avevo avuto l’onore di vedere attraverso il creato. Il pianto del piccolo Marco, del padre Paolo e della madre Chiara resterà nella mia memoria.


Il sorriso di un bambino che pianta un alberello è un gesto di così tenero amore. Non scordatelo mai.


E.B.



 
 
 

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LA VOCE CORTONESE

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Crediti per la musica del podcast:

The Travelling Symphony by Savfk | https://www.youtube.com/savfkmusic
Music promoted by https://www.free-stock-music.com
Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

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