I diari della motocicletta - "Il viaggio"
- Redazione
- 27 ago 2021
- Tempo di lettura: 11 min
Torna la rubrica di motori de La Voce Cortonese con un episodio molto particolare: uno dei viaggi più lunghi mai compiuti in questa rubrica, per un complessivo di 170 chilometri, per una giornata in un borgo dell'Umbria, tutto con due motorini.
Introduzione e dedica
Questo è un viaggio che non avremmo dovuto intraprendere. Non era in programma, se non che un giorno un mio caro amico, Leonardo, mi propone di fare un ultimo grande viaggio assieme, prima della sua partenza per l'America. Io accetto subito, e in una settimana programmiamo il viaggio, che qui di seguito è descritto. Vorrei dedicare questo articolo e tutti i bei momenti che descriverò, a lui, e al suo anno negli Stati Uniti.
Ci vediamo al tuo ritorno! Buona lettura a tutti.
Prima della partenza
Il viaggio qui descritto non è altro che il tratto di strada che separa Castiglion Fiorentino da Gubbio. Per due ciclomotori (due motorini) non è affatto semplice affrontare un viaggio del genere, perlomeno non senza qualche difficoltà lungo la strada. Infatti, prima della partenza, abbiamo programmato, durante una calda serata di giugno, le tappe da fare lungo il percorso: mentre Leonardo segnava i punti d'interesse, come castelli, bar e chiese, io segnavo tutti i benzinai lungo la strada, conoscendo quanto sia poco fornita la Strada Statale del Lisciano Niccone (o comunque la SP 35). Per dei serbatoi come i nostri era molto importante cercare dei punti di riferimento lungo la strada, poiché oltre ad essere una vallata abbastanza desolata. quella di Pierle, dal punto di vista urbanistico, è anche molto lunga, oltretutto con il primo tratto fra i monti della Rocca di Pierle.
Un aneddoto interessante a proposito del periodo prima della partenza è questo: né io, né Leonardo avevamo dei motorini nostri. Questo perché il mio era ormai proprietà di mio fratello, essendo io in attesa del 125, mentre quello di Leonardo era in riparazione, a causa di un piccolo incidente. Quindi viaggiavamo su dei motorini non di nostra effettiva proprietà, ma nonostante questo siamo riusciti a preservarli a modo: l'unico dubbio che abbiamo avuto è stato quando si è rotto quello di Leonardo, poiché temevamo che non saremmo riusciti a partire in tempo. Alla fine, il viaggio si è fatto, e la mattina del 20 giugno siamo partiti.
La partenza
Siamo partiti presto, verso le 7.30, temendo di marciare molto piano per via del risparmio di carburante, quindi pensando che la nostra guida si sarebbe allungata molto. Dopo una rapida tappa a salutare Giulia, la fidanzata di Leonardo (che hanno fatto praticamente da modelli per il breve racconto "L'amore ai tempi del Covid-19"), siamo entrati fra le montagne di Pierle, dopo Montanare, e abbiamo deciso di procedere a velocità molto contenuta, perlomeno per quel primo tratto così tortuoso ed in salita, che metteva a dura prova la capacità dei nostri serbatoi. Nonostante l'estate fosse già iniziata, la mattina non lasciava spazio nemmeno ai raggi di sole per scaldarci, e abbiamo scoperto che le felpe che avevamo indosso erano più preziose di quanto non pensassimo prima. Superato il primo tratto in salita, che termina più o meno verso l'uscita di Pierle lungo la SP35, siamo scesi verso Mercatale, e lì ci siamo fermati a fare colazione.
Verso Umbertide
Riusciti a superare Mercatale, la situazione diventava difficile: Mercatale è praticamente l'ultimo stralcio di vita che rimane prima di affrontare l'infinita vallata del Lisciano Niccone, ed infatti è molto consigliato di dare un'occhiata al distributore presente a Mercatale, prima di intraprendere questa strada. Ad ogni modo, un vantaggio di questa tratta è la percorribilità: la strada è liscia e ben tenuta, e siamo riusciti a percorrerla senza troppi problemi, al contrario di quella che avevamo affrontato prima, in salita e con molte imperfezioni. Ad un certo punto, lungo la strada, più o meno dopo la frazione di Mengaccini, qualcosa ha attirato la mia attenzione: c'era una pietra con una targa sulla destra della strada, e subito dopo averla superata, ho raggiunto con il motorino Leonardo (che guidava la marcia) e gli ho chiesto di fermarci. «Leonardo, possiamo fermarci? Devo assolutamente vedere cosa c'è scritto su quella pietra!». All'inizio ci fu una reazione divertita da parte sua e successivamente, quando anch'io mi resi conto della strana richiesta, mi misi a ridere. Fatto sta che ci fermammo a leggere cosa c'era scritto: era una targa, dedicata dal Comune di Città di Castello e dall'A.N.P.I., ai partigiani e alle famiglie rastrellate dai fascisti e dalle S.S. in quel territorio. Mi piace pensare che non sia una coincidenza il fatto che io abbia chiesto di fermarci lì, ignorando completamente cosa ci fosse scritto.

Ripartiti, siamo arrivati fino a Sant'Andrea di Sorbello, dove la strada ha iniziato ad opporre qualche difficoltà, e così fino a Spedalicchio. Da Spedalicchio in poi, siamo arrivati subito ad Umbertide, entrando per il monumentale ponte romano, sul Tevere.
Umbertide: una chiesa ottagonale e il Tevere
Umbertide è una bella città. Abbiamo parcheggiato, dopo aver stentato qualche minuto ad orientarci in città, davanti alla Chiesa di Santa Maria della Reggia, che abbiamo subito preso come punto di riferimento, poiché ben riconoscibile: è ottagonale, ed è esattamente davanti alla Rocca di Umbertide. Dopo aver lasciato scritto su un vecchio biglietto del treno a che ora eravamo arrivati (e dopo averlo incastrato tra il cruscotto e la manopola del freno), ci siamo incamminati dapprima verso il centro, girando un po' per le stradine e per i vicoli, risbucando al ponte romano.

Dopo aver riorganizzato un attimo le idee, e dopo aver calcolato quanto tempo avremmo impiegato per visitare il più possibile senza eccedere l'ora gratuita a disposizione nel parcheggio, ci siamo incamminati verso Piazza San Francesco, dove è situata l'omonima chiesa. Lì ho intrattenuto Leonardo con diversi racconti di saggi e concerti tenutisi lì, e ai quali avevo partecipato come pianista. Dopo averlo annoiato abbastanza, siamo usciti dalla piazza, ma abbiamo notato che c'erano delle scalette sulla sinistra, che portavano in basso, quasi si dirigessero sugli argini del fiume. Nonostante io non mi fidassi molto di quella strada, e cercassi di capire se il canale che passa per la Rocca di Umbertide portasse o meno al fiume, in modo da poter percorrere quello (ed infatti ci andava), piuttosto che entrare in casa di qualcuno, Leonardo imboccò subito la via, e non mi restò altra scelta che seguirlo. Quelle scalette erano effettivamente parte della strada, e portavano ad un percorso naturale che si estende lungo gli argini del fiume Tevere, e che è percorso in bicicletta, a piedi, con gli animali domestici. Lì ci siamo accorti che gli abitanti di Umbertide sono molto attaccati al loro fiume, dato che c'erano pescatori da tutte le parti, e credo che il fiume sia una delle cose che più di tutte c'è rimasta impressa di Umbertide.

Tornati dal percorso, attraverso delle vie strette, che affiancavano le mura della rocca, abbiamo raggiunto la Chiesa davanti alla quale avevamo parcheggiato, e avendo constatato che eravamo ancora in tempo per ripartire, abbiamo deciso di entrarvi. All'interno è una chiesa molto piccola, per quanto riguarda lo spazio riservato ai fedeli e ai turisti, anche se non si può dire lo stesso dell'altezza. Al suo interno però, c'erano un sacerdote e delle suore dedite alla preparazione di una messa, e quindi io e Leonardo ci siamo guardati in faccia, con molto imbarazzo, e ci siamo detti: «Bella questa chiesa, ma forse è il caso di levar il disturbo». Abbiamo raggiunto nuovamente i motorini e siamo ripartiti, ora alla volta di Gubbio.
Verso Gubbio: i primi timori
Ripresa la marcia, ed usciti dal centro storico di Umbertide, ci siamo diretti verso la zona industriale, tentando di ricordare a memoria il percorso del navigatore, mentre io tentavo di trovare al più presto un cartello con su scritto "Gubbio". Ad un certo punto, mentre percorrevamo Via Tibertina 3 Bis, che non è altro la continuazione della SS 219, svoltiamo a sinistra, e imbocchiamo un'altra via, che si sarebbe preannunciata quasi completamente sperduta. Nei miei viaggi io ero riuscito ad arrivare ad Umbertide, ma non mi ero mai spinto oltre, quindi per me era tutto nuovo, così come per Leonardo, che era già stato a Gubbio, ma in macchina, e molto probabilmente passando per la superstrada. Noi, con due motorini, non potevamo che prendere la strada in mezzo ai monti.
All'imbocco di questa strada, sono presenti alcuni benzinai, ai quali ci raccomandiamo di fare particolare attenzione, perché per i successivi chilometri che separano voi da Gubbio, non ne abbiamo trovati, e solo a Gubbio abbiamo potuto fare di nuovo rifornimento. Noi però, sicuri della capacità, già messa a dura prova dalla prima parte del viaggio, dei nostri serbatoi, li abbiamo completamente ignorati e siamo andati oltre.
Affrontata la strada in mezzo alla montagna, passante per Camporeggiano, siamo arrivati in uno spiazzo, in cui si poteva entrare in una strada, praticamente uguale ad un'autostrada. Dotata di più corsie per senso di marcia e di piazzole di sosta, e l'avremmo anche scambiata per un'autostrada, se non fosse che ormai c'eravamo già sopra ed aveva i cartelli bianchi. Ciò significa che non era un'autostrada, ma nel dubbio, ad una piazzola di sosta ci siamo fermati, ed abbiamo chiamato i nostri genitori per sapere se potevamo effettivamente percorrere quella strada. Risposta affermativa, e varie raccomandazioni da genitori. Ad un certo punto, vediamo l'uscita per Gubbio Nord, e da lì, ormai incuranti di ciò che poteva suggerire il navigatore, usciamo dalla pseudo-autostrada e ci dirigiamo al primo distributore di benzina. Questo perché ad ogni piazzola si sosta in cui ci siamo fermati dall'entrata in quella che avevamo scoperto essere la SS219, io ripetevo a Leonardo che "io non sarei arrivato a Gubbio, con quel poco di benzina che mi rimaneva", quindi potete immaginare la gioia nel vedere un distributore dell'ENI appena entrati in città. Questa è la prima memoria dell'arrivo a Gubbio.
Gli eugubini e i bonsai
Riusciti a trovare il centro di Gubbio, parcheggiamo i motorini in mezzo ad una sfilza di moto, molto più grandi dei nostri mezzi, in Piazza dei Quaranta Martiri, fieri del nostro arrivo e felici di essere sopravvissuti. La prima cosa che facciamo è chiamare i nostri genitori, per avvertirli della riuscita della prima parte della missione. Successivamente abbiamo fatto un po' di foto alla Chiesa di San Francesco, immediatamente accanto, ed abbiamo dato un'occhiata ai giardini pubblici. Dopo un po' di riposo, abbiamo deciso di intraprendere la salita e di mettere i lacci dei caschi sotto la sella del motorino di Leonardo, con il mio enorme timore di qualche ladro. Anche perché dobbiamo dire che non era proprio il posto più sicuro dove metterli (abbiamo fatto un po' di test, e non era molto resistente, quindi non ci rimaneva che sperare nella bontà degli eugubini).

Mentre salivamo, abbiamo cercato sull'enciclopedia come si chiamassero gli abitanti di Gubbio, e abbiamo scoperto che si chiamano eugubini. Purtroppo, devo dire, che il nome ci ha fatto un po' ridere, e ancora oggi, a distanza di qualche mese, ci fa ridere sentire il nome di eugubino. Non ce ne vogliano gli abitanti di Gubbio.
Lungo quella che è Via della Repubblica, la via principale di Gubbio, ci sono molti ristoranti all'inizio e pochi ristoranti verso la cima, per questo abbiamo tenuto conto di tutti quelli che ci passavano accanto mentre salivamo, dato che si stava facendo ora di pranzo e tutti e due iniziavamo ad avvertire un po' di fame.
A Gubbio abbiamo visitato la Piazza Grande, dove molti di voi avranno visto Don Matteo andare in giro con la bicicletta in televisione; il Palazzo Ducale, ma solo alcuni corridoi, poiché il resto era a pagamento, e noi avevamo giusto i soldi per la benzina ed il cibo; la Cattedrale dei Santi Mariano e Giacomo ed infine una mostra di bonsai. La mostra di bonsai ce la ricordiamo bene, sia perché ci sono piaciuti molto i bonsai, sia perché Leonardo era decisamente contrariato dal fatto che non si potessero né acquistare, che per il fatto che la mostra non durasse più di dieci metri, con tanto di ponte costruito sulle tubature tra l'abitazione su cui era la mostra ed il Palazzo Ducale.

Dopo queste visite, decidemmo che era ora di pranzo. Ci siamo fermati lungo una delle vie principali della città, non lontano dalla Piazza Grande, e siamo entrati dentro quello che sembrava un ristorante, soltanto che appena entrati all'interno ci ha accolto una signora, la quale ci ha detto che quella era una gelateria e che sì, c'era un ristorante (perché noi avevamo visto la gente fuori, sui tavolini con delle pizze), ma che era dal lato opposto della strada, e che non eravamo i primi a fare quella domanda. Allora ci siamo diretti verso il vero ristorante ed abbiamo pranzato. Dopo aver constatato che sia io che il cameriere eravamo delle frane in matematica, sia facendoci aiutare da Leonardo, che dalla calcolatrice, siamo riusciti a riprendere il resto e ad uscire dal ristorante.
Tornati in Piazza dei Quaranta Martiri, abbiamo felicemente scoperto che i nostri caschi erano ancora lì e che nessuno li aveva toccati. La prima cosa che ci è venuta in mente da dire è: «Che gentili questi eugubini! Non ci hanno nemmeno rubato i caschi!».
Ci siamo diretti di nuovo verso i giardini pubblici, per riposarci un po', e dopo aver perso le chiavi ed averle ritrovate in mezzo ad un cespuglio, ci siamo seduti ed abbiamo aspettato che arrivassero le 15.00.
Alle 15.00 siamo ripartiti e ci siamo diretti verso l'ultima cosa che avevamo intenzione di visitare a Gubbio: l'acquedotto medievale.
L'acquedotto medievale: nostalgia di scuola
Tornando sulla nostra strada, affiancando le mura della città, si arriva ad una piccola strettoia, dove è presente un senso unico alternato, regolato da un semaforo e sovrastato da un arco, che una volta superato conduce ad una strada in salita, la Strada Regionale 298, lungo la quale ci si può fermare ed ammirare i resti dell'acquedotto medievale. Qui si possono trovare delle aree dove rilassarsi con panchine e tavolini da pic-nic, ed anche un percorso da trekking lungo due chilometri e mezzo, tra la natura e strati di roccia così antichi che risalgono al Terziario. Data la nostra smisurata passione per la storia e per la natura, abbiamo deciso di fermarci sulle panchine e di riposarci un po'.

Non abbiamo però perso l'occasione per fare una chiamata alla nostra professoressa di lingua e letteratura latina e greca al liceo classico e comunicare anche a lei la nostra impresa. Inutile dirlo: «Voi siete matti!».
Dopo aver terminato la chiamata per la sostanziale assenza di segnale, dovuta forse all'altitudine e alla collocazione non proprio urbana dell'acquedotto, alle 16.00 abbiamo deciso che era l'ora di ripartire.
Così ci siamo lasciati l'acquedotto alle spalle, così come Gubbio, e ci siamo diretti infine, verso casa.
Ritorno ad Umbertide, la deviazione ed il ritorno verso casa
Lungo la via del ritorno abbiamo semplicemente ripercorso la strada che avevamo fatto, ma al contrario (tranne in un punto in cui ci siamo fermati a contemplare quanto fosse grande una villa che avevamo visto, ripetendo un po' la scena del sasso, ma questa volta da parte di Leonardo), questo fino ad Umbertide. Lì ci siamo fermati nuovamente ad esplorare e a riorganizzare le idee sul nostro viaggio prima di ripartire definitivamente verso casa, sempre sfruttando l'ora libera di parcheggio, nello stesso luogo dell'andata. Siamo andati a fare una passeggiata sul parco del Tevere, sdraiandoci sull'erba (le nostre schiene erano a pezzi dopo ore di guida su dei cinquantini) e progettando come chiedere ai passanti dove potessimo trovare una fontana pubblica da cui prendere l'acqua, che avevamo finito e di cui avevamo disperato bisogno. Dopo esserci alterati per non averne trovata nemmeno una, siamo tornati ai motorini e ci siamo messi in marcia verso Trestina, dove ho deciso che avrei accompagnato Leonardo a Castiglion Fiorentino. A Trestina infatti c'è un bivio, dove una strada conduce al Torreone, e quindi a Cortona, mentre l'altra alla Noceta, e quindi a Castiglion Fiorentino (o con una deviazione al Palazzo del Pero, ma comunque la destinazione finale è la stessa): nonostante il mio serbatoio fosse dubbioso a riguardo di questa deviazione (in origine dovevamo addirittura fare una tripletta: Umbertide, Gubbio e Città di Castello, alla quale però non siamo arrivati, anche se questa piccola deviazione c'è costata qualche decina di chilometri in più), ho accettato comunque. Così siamo arrivati in cima ad un monte (che Leonardo aveva riconosciuto) lungo la Strada Provinciale Polvano e Valle Nestore, e lì il serbatoio era sul punto di abbandonarmi (quello di Leonardo no sorprendentemente). Ci siamo fermati un attimo sulla cima e lì, oltre a dare un po' di acqua alla marmitta di Leonardo (come avevamo già fatto lungo il tragitto, più e più volte, data la sua particolare incandescenza) e ad osservarne quasi compiaciuti il fumo, abbiamo preso una decisione sul da farsi: saremmo scesi dal monte molto molto piano ("quasi a motore spento!") e ci saremmo rimessi in moto al primo accenno di pianura. Così abbiamo fatto.
Arrivati alla Noceta, finalmente abbiamo potuto rifornire la nostra poca acqua (ormai finita tutta sulla marmitta fumante di Leonardo) ed intraprendere la strada verso casa. Siamo arrivati fino a Castiglion Fiorentino, dove io ho fatto immediatamente rifornimento e dove Leonardo si è divertito a pulire il proprio motorino con la pompa dell'acqua. Dopo una rapida tappa a casa sua (ed aver orgogliosamente mostrato ai suoi genitori come eravamo riusciti nell'impresa), l'ho salutato e mi sono diretto a casa mia, concludendo così questa epica impresa.
Un altro viaggio
Purtroppo il viaggio a Gubbio è finito. Siamo tornati, per fortuna sani e salvi, con tutti e due i caschi e consapevoli del fatto che gli eugubini non rubano i caschi. Ora però a Leonardo spetta un viaggio molto più lungo e molto più duraturo: un anno negli Stati Uniti per studio. La Redazione ed anche la sua classe del liceo (che lo aspetterà al suo ritorno) vuole dargli i più accorati arrivederci. Anche io ho voluto salutarlo così, ricordando una bella esperienza assieme sulle due ruote, su due cinquantini, in direzione: Gubbio. Ci vediamo al tuo ritorno Leo per un nuovo viaggio!
Flavio Barbaro
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